logo_ittig
Bibliografia delle edizioni giuridiche antiche in lingua italiana
Legislazione preunitaria
 
Le gride e gli editti dello Stato di Milano
(1560 - 1796)
Parte II - Testi

 
 
 
Premessa

 
 
Fiammetta Giovannelli Onida


Scopri i Testi
>  Avvertenze
>  I Testi in rete
Interroga i Testi
>  Indice dei testi
>  Frequenze
>  Testuale

Le 44 gride generali, il cui testo è stato qui memorizzato, sono quelle della raccolta della Biblioteca Universitaria di Pavia[1]. Principale scopo della pubblicazione è quello giuridico-linguistico di permettere una lettura accurata del documento e, quindi, un'analisi della lingua legislativa italiana e di conseguenza del diritto italiano in ambito milanese attraverso i tre secoli di predominio spagnolo e austriaco.
Non meno importante potrebbe poi risultare l’esame dal punto di vista storico-politico volto a mettere in rilievo, seguendo il passaggio da un governo all'’altro, da una dominazione all’altra, la volontà e qualità di questo amministrare: la natura stessa della grida generale, tendente alla regolazione e alla riassunzione dell'intera materia, agevola la possibilità di tale verifica.

Le gride generali, a differenza delle gride particolari (che, sebbene di rado, sono a volte scritte in spagnolo o tedesco) sono tutte in lingua italiana fin dalla prima del 1583. Ricordiamo che la stampa fin dal suo inizio ha agevolato il diffondersi di quel tipo di legislazione spicciola che più strettamente entra in contatto con la gente a cui è diretta, i fogli volanti, i manifesti, le gride, insomma, che devono con urgenza comunicare disposizioni nuove o ricordare e confermare quelle troppo spesso disattese. Nel caso delle gride generali questo carattere di immediatezza e occasionalità sembra scomparire per essere sostituito da una volontà di consolidamento della volontà legislativa in relazione ad alcune materie. La grida generale può avere nella sua emanazione anche una cadenza annuale, ma questo non toglie che la sua caratteristica è sempre quella di essere una "grida"” (legislazione occasionale) che non entrerà mai a far parte di quella legislazione più illustre che spesso viene pubblicata in latino ancora verso la fine del Seicento.

Le gride generali riguardano le seguenti materie (fra parentesi gli anni di emanazione):

  • biade (1620-1624-1654-1655-1657-1663-1672-1673-1675-1682-1683-1684-1693-1696): 14 gride del governatore;
  • caccia (1612-1654): 2 gride del governatore;
  • gabella grossa di Cremona (1634-1643-1661-1676-1682-1712): 6 gride del magistrato ordinario;
  • mercanzia (1601-1604-1640-1754-1765): 4 gride del magistrato ordinario (poi camerale), 1 dell’amministratore di governo;
  • olio e sapone (1646) 1 grida del magistrato ordinario;
  • risi (1662): 1 grida del governatore;
  • sale (1667-1673-1679-1703-1716-1727-1733-1737-1752): 9 gride del magistrato ordinario (poi camerale);
  • sanità (1583-1713-1740-1745-1750-1781): 6 gride del magistrato della sanità.

Come si può notare la dizione "grida generale" prosegue ininterrotta dal periodo spagnolo a quello austriaco[2]. Nella raccolta non c’è nessuna grida riguardante le biade<[3] e la caccia del periodo austriaco e non risulta nessuna grida secentesca sulla sanità: peraltro la raccolta ne possiede una del 1583[4]. Mancano totalmente le gride (non solo quelle generali) sui banditi, sulle armi, sulla prostituzione.

Per ciascuna materia riassumerò le disposizioni più rilevanti.


Le biade

Per le gride riguardanti le biade (frumento, segale, miglio, riso bianco, risone, avena, legumi) durante il periodo spagnolo, si nota come esse siano state emanate direttamente dal governatore sentito il consiglio segreto o il magistrato straordinario, competente per materia[5]. Questo fa chiaramente capire come la questione degli approvvigionamenti venisse sentita come assolutamente prioritaria.

Le gride generali sulle biade venivano pubblicate ogni anno, erano divise in 94, 95 o 96 articoli a seconda della numerazione sottintesa o meno degli articoli stessi, con piccoli titoli a margine che ne riassumevano il contenuto, a volte paragrafo per paragrafo. Era posto come generale il principio del divieto di esportazione (o come si diceva di estrazione) delle biade senza "legitima licenza"[6], si stabilivano le quantità da inviare in città e quelle da lasciare a disposizione dei proprietari, la quantità che poteva essere condotta da luogo a luogo e quella che gli stessi fornai erano autorizzati ad acquistare, per evitare gli accaparramenti. Era sancita anche una limitazione al loro trasporto in certi luoghi all'interno dello Stato stesso, sotto qualunque forma (grani o farina o pane), come anche il condurle troppo vicino ai confini (era la zona delle cosiddette terre sospette, luoghi di possibile contrabbando) senza licenza del magistrato straordinario. Il superamento dei limiti imposti faceva incorrere in terribili pene come il carcere, la confisca anche totale dei beni o addirittura la forca[7].

Causa di questa rigida normativa era il timore di restare privi di abbondanza di viveri[8] all’interno dello Stato e di avere come conseguenza un rialzo dei prezzi delle derrate, cosa che avveniva frequentemente: l’interesse primario dello Stato era senza dubbio quello dell’approvvigionamento della popolazione e a prezzo equo. Si operava quindi ponendo minuziose regole preventive e repressive: il divieto di esportazione comprendeva tutti i generi di prima necessità come castagne, crusca, lovini (lupini).

Ogni persona era autorizzata a far inventione[9] e a prendere e consegnare in carceri sicure quelli che fossero stati sorpresi a trasgredire: gli inventori avrebbero guadagnato la metà delle cose trovate e la terza parte delle condanne pecuniarie.

Gli ufficiali o soldati del divieto che si occupavano della repressione del reato dovevano essere rispettati nell’esercizio delle loro funzioni e le città e terre dello Stato erano tenute a prestare loro aiuto; ma gli stessi ufficiali sarebbero incorsi in severe punizioni se si fossero accordati con gli sfrosatori.

Senza licenza del magistrato nessun forestiero poteva comprare grani né personalmente né per intermediario, intendendosi per forestiero "chiunque non habiti fermamente in questo Dominio con la sua famiglia, benché fosse originario"; nessun aratore forestiero, o spigolatore, poteva portarsi via i grani che si era guadagnato; nessun cittadino, compresi i fornai come si è detto sopra, e perfino le comunità, poteva comprare grani in quantità superiore a quella prescritta. Le compravendite dovevano essere con esattezza annotate a tergo della licenza stessa per "lettera distesa, et non per abaco", specificando la qualità e la quantità dei grani venduti; perfino i nobili, che avevano beni di loro proprietà, non potevano incrementare le loro derrate prendendo in affitto beni altrui.

Essenziale quindi per il controllo delle biade prodotte nello Stato era la notificazione puntuale della quantità e della qualità di quella produzione (compresa quella già consumata e quella destinata alla semina), il divieto di creare ammassi privati non verificabili, la precisione nel tenere i quaderni delle notificazioni da parte degli ufficiali addetti.

Nella tutela delle coltivazioni rientrava anche una norma riguardante la caccia (che ritroveremo giusto nelle gride generali sulla caccia) riguardante la proibizione di cacciare nei campi dei migli (campi coltivati a cereali) propri e altrui, allo scopo di non rovinare i raccolti.


La caccia

Le due gride generali sulla caccia[10], non suddivise in articoli, che riportano uno stesso ordine sovrano, sono dirette a difendere le zone di caccia riservate, e quindi a combattere il bracconaggio, a salvaguardare la selvaggina, a preservare i raccolti.

In ambedue si ripetono i divieti di cacciare senza licenza in determinati luoghi (Vigevano, la valle del Ticino, la Gruana, il bosco di Chiaravalle, il giardino del Castello di Milano), di non danneggiare la selvaggina con armi troppo rapide e distruttive (archibugi[11], balestre, archi, lacci, reti[12]) o con falconi e cani (questi ultimi devono perciò avere il "matarello" al collo), o compiere quegli atti nocivi al mantenimento dell’ambiente in vista della sopravvivenza e riproduzione degli animali selvatici, come tagliare arbusti, far legna in modo sconsiderato, raccogliere ghiande, o lasciar pascolare le pecore senza farle velocemente transitare via, cacciare in tempi vietati (le stagioni della riproduzione o della neve).

Come terzo punto era vietato cacciare nei migli (campi seminati a cereali) altrui o propri. E anche qui come nelle gride sulle biade, le derrate erano considerate un bene così importante che neppure il proprietario poteva danneggiarle.

Altre norme non riguardano la caccia in senso stretto: come quando si vietava ai contadini di andare a caccia per non trascurare l’agricoltura e lasciare le loro famiglie in miseria o quando venivano vietate le onoranze di formaggi, capretti o altro al capitano delle cacce e al suo seguito.

Nei luoghi riservati non era permesso tenere tagliole, archibugi o qualunque arma proibita, la stessa circolazione a piedi, in barca, a cavallo era sottoposta a controllo, ma era anche vietato ai cavalleggeri della guardia del governatore o ad altri ufficiali di molestare le persone cercando nelle loro abitazioni cose proibite per la caccia, salvo in presenza di reali indizi.


La gabella grossa di Cremona

La gabella grossa era un aggregato delle tassazioni più importanti e redditizie. Le gride (come di consueto per quelle relative alle tasse) sono state emanate su richiesta dell’appaltatore del dazio che non si vede sufficientemente tutelato. Quelle secentesche non sono divise in articoli e sono senza indice ma con i titoletti a margine. Contando i titoletti si può dire che contengono dai 30, ai 35-36 e ai 46-48 articoli. Quella settecentesca, invece, ha l’indice e 57 capitoli. Si tratta di gride sulla mercanzia che riguardano i dazi delle merci in transito, in entrata e uscita, con le soste obbligate, le notifiche, le frodi che solitamente vengono fatte, le fedi da esibire, i divieti di introduzione o di ammasso per certe merci senza licenza, e cose simili.


La mercanzia

Le gride sulla mercanzia, che contengono un numero sempre più ampio di articoli (dai 67 articoli della grida del 1601, dotati di titoletti a margine, ai 100 articoli di quella del 1765 dotata di indice) e che prescrivevano regole molto precise per gli spostamenti delle merci dentro e fuori dello Stato, erano indirizzate ai mercanti (o anche solo ai viandanti) e ai trasportatori (conducenti, postiglioni, vetturali) che dovevano estrarre, introdurre o far circolare merci nelle province o fuori dello Stato. La pena per i contravventori era quella dell’immediata carcerazione e del sequestro delle merci e dei mezzi di trasporto. Il ricapito13], che faceva fede dell’avvenuto pagamento del dazio, accompagnerà la mercanzia per tutto il viaggio e avrà una precisa valitura (il periodo, cioè, di validità della concessione).

Le varie merci[14] sono puntualmente elencate essendovi disposizioni diverse per ogni tipo, così come sono elencati i vari tipi di contenitori con quella precisione e specificità che caratterizza la normativa di questi secoli non venendo mai usato un termine generale che comprenda i vari oggetti appartenenti allo stesso genere (bavuli, valigie, balle, casse, fagotti e pacchetti).

In alcune gride del ‘700 sono messi al bando spalloni, Pozzolaschi e Alessandrini[15] in quanto persone ritenute pericolose per la comunità.


L'olio e il sapone

Nella breve grida, non suddivisa in articoli, emanata per il dazio dell’olio e del sapone che era ritornato sotto la diretta competenza della regia Camera, si danno norme dirette ad evitare le frodi al dazio suddetto, a stabilire modalità di pagamento, a sancire pene per i casi in cui le norme siano disattese.


I risi

La grida generale sui risi in 28 articoli (senza titolo e da noi genericamente chiamata "bando generale") è stata emanata dal governatore, sentito il magistrato camerale straordinario e il tribunale della sanità, e richiama gride dei precedenti governatori: è un bando che ha un contenuto realmente particolare se si considera che la normativa è volta esclusivamente a risolvere problemi sociali. Non stupisce troppo dal momento che il governatore agisce anche su parere del magistrato della sanità, magistratura che dal XVI secolo ha sempre emanato disposizioni in prevenzione e difesa della salute, intesa, quindi, anche come igiene.

Al primo punto ci sono preoccupazioni di carattere sanitario che fino dall’antichità hanno accompagnato il lavoratore che operava in zone paludose[16] e che qui nello Stato Milanese hanno spinto i governi a emanare una legislazione restrittiva nei confronti delle coltivazioni del riso[17]. Vengono così stabilite le distanze dei campi seminati dall’abitato per mantenere la salubrità dell’aria: quattro miglia in linea d’aria da Milano e da Novara e tre miglia dalle altre città dello Stato. Inoltre si dà facoltà ad ogni comunità, col consenso dei due terzi degli abitanti, di proibire nel suo territorio il seminerio dei risi.

Al secondo punto si riprende una normativa che già avevamo trovato nella grida del 24 aprile 1599 (citata dal Visconti[18]) in cui si cerca di stilare una sorta di contratto per i lavoratori delle risaie. È da dire che la coltivazione del riso ebbe un’altra conseguenza circa lo svolgimento del lavoro agricolo ad esso collegato: le varie fasi della coltivazione non richiedevano solo personale fisso, ma lavoratori avventizi che svolgessero lavori di non lunga durata in certi periodi dell’anno, come la monda del riso a giugno-luglio per estirpare le erbe infestanti. Questo fatto diede origine ad un fenomeno di assunzioni da parte dei capi dei risaroli di "figliuoli e garzoni" attirati con promesse e lusinghe a venir via dalle loro famiglie per lavorare nelle risaie per poi invece non ricevere alcun salario dopo aver lavorato come schiavi, essere picchiati, non essere nutriti. Per questi motivi molti di quei ragazzi morivano nelle cascine[19] o nei campi senza alcun aiuto "né corporale, né spirituale" ... Per evitare queste "barbare crudeltà" il governatore emanò norme che garantissero un trattamento umano e corretto verso i lavoratori occasionali stabilendo pene in denaro per i contravventori.


Il sale

Le gride sul sale (divise in articoli ma senza indice o glosse al margine) avevano come primo obiettivo l’impedire che l’importazione di sale forestiero potesse far eludere la vendita del sale delle regie gabelle. Nessuno poteva comprare sale dai barcaioli perché di contrabbando; e anche nell’ambito della legalità non si potevano comprare i sali in altra giurisdizione dove costavano meno. Le stesse fonti di acqua salata non potevano essere usate, e minuziosamente si prescriveva ai commercianti al minuto e ai pastori (che si servivano del sale per i formaggi e le carni) dove doveva essere comprato e presso quali venditori.

La grida generale in questo caso tendeva solo alla protezione della regalia, stabilendo regole e pene pecuniarie e corporali e fissando l’obbligo delle bollette anche per trasporti di minime quantità di sale.


La sanità

Le gride generali emanate del magistrato di Sanità riassumono in parte la normativa sulla materia già esposta nelle gride particolari. Sono divise in articoli: dai 47 della grida cinquecentesca che non ha né indice né titoletti a margine, ai 51-53 di quelle settecentesche fino all’ultima del 1781 che ne ha solo 44.

Ricordiamo che il principale compito della magistratura era la prevenzione delle malattie (e non la, allora impossibile, cura delle stesse) e, quindi, il mantenimento delle condizioni igieniche in città e la tutela dell’ambiente dove si svolgeva la vita (secondo un criterio del tutto moderno) era assolutamente essenziale. Fin dal Cinquecento i grandi studiosi di medicina (come Girolamo Fracastoro) ebbero l’intuizione che invisibili particelle provenienti da corpi malati o da cose putrefatte aggredissero uomini e animali, ma l’impossibilità di provare e definire esattamente questo assunto generò il timore di qualunque esalazione: erano dunque ritenuti portatori di malattie l’aria greve delle risaie, il puzzo degli escrementi umani e del letame delle stalle, oltre all’aria corrotta in tempo di peste dai corpi malati, dalle masserizie delle case, dalle vesti sporche.

Espongo qui solo i principali punti toccati dalle gride rimandando per il resto alla più puntuale esposizione già fatta in altra sede[20]:
     - importante era la salvaguardia della sanità e freschezza dei cibi e la pulizia delle case (dove era obbligatorio avere un vaso di necessario e una cisterna per raccogliere le immondizie liquide);
     - importante era anche la pulizia della città intesa come nettezza di strade e difesa dalle esalazioni nocive (naturalmente i due elementi si mescolavano): quindi divieto di gettare immondizia per le strade, in particolare rudi di stalla e animali morti, ma anche solo acqua pulita per non creare fango e putrefazione (salvo che d’estate). Le navazze stercorarie potevano entrare in città a vuotare le cisterne solo in ore prestabilite (di notte[21]) e non si dovevano tenere immondezzai in città. Pulite dovevano essere le case, le corti, le botteghe; i macellai erano autorizzati a stare solo in alcune strade; in città non si potevano tenere stalle per gli animali o tenere allevamenti dei vermi da seta chiamati bigatti. Le stesse attività artigianali, come quella della concia delle pelli o della fabbricazione delle candele di sego, quelle casearie e altre ancora, dovevano tenere presente il divieto di sporcare le acque di canali o torrenti con i loro residui e di non corrompere l’aria con le loro esalazioni. Anche le coltivazioni del riso dovevano essere ad una distanza prescritta dalla città;
     - i lavoratori che venivano in città dovevano essere alloggiati in camere non troppo affollate e in non più di due per letto.

Tutta la materia dei mendicanti, invece, (che così spesso era stata oggetto di trattazione nelle gride particolari[22]) non viene presa in considerazione nelle gride generali essendo materia più di polizia che di sanità. Le materie trattate comunque si susseguono con disposizioni più precise ma sostanzialmente simili fino all’ultima da noi posseduta, del 1781.


Conclusioni

Avendo già parlato della natura di vere e proprie leggi di tutte le gride[23] e in particolare di quelle generali, per quest’ultime possiamo dire che spesso fanno riferimento alla Nuove Costituzioni o alle gride dei predecessori sulla materia trattata.

Il linguaggio si ripeté molto simile attraverso gli anni e la forma delle gride raggiunse una cristallizzazione che durò circa fino alla metà del settecento quando, almeno le particolari, furono sostituite dai reali dispacci, emanazione diretta della volontà del sovrano non più mediata dal governatore e dalle magistrature competenti. Difficile fare un discorso sulle gride generali di questo periodo data la loro esigua presenza nella raccolta, ma già nella grida sulla mercanzia del 1765 si nota una maggiore presenza della volontà sovrana attraverso la figura dell’amministratore di governo, segno concreto dell’inizio della fine dell’autonomia delle magistrature milanesi.


Note:

[1]Come abbiamo già detto, si tratta della raccolta in 38 volumi ordinati per magistratura e per materia (e all’interno di queste per anno) avente la collocazione 43.E.1, di cui è già stata pubblicata la Bibliografia; ed è una delle raccolte più interessanti.

[2]Abbiamo messo la dizione generica di "bando" riguardo ai risi mancando il titolo alla grida stessa.

[3]Altre gride particolari in tema di biade, per esempio, fanno riferimento alla grida generale del 4 ottobre 1721 che non figura nella raccolta.

[3]Questa grida ha il testo fortemente rovinato ed è stata integrata con un'altra posseduta dalla Braidense dello stesso anno (la data è manoscritta), similissima, con identico contenuto e solamente qualche variante grafica nelle parole. Vedi per altre gride generali sulla sanità F. GIOVANNELLI ONIDA – E. MARINAI, Gride dei Conservatori della Sanità dello Stato di Milano, CD-Rom, Napoli, ESI, 2001.

[5]Verso la metà del XVIII secolo competente divenne il regio ducale magistrato camerale.

[6]Il reato di sfroso (contrabbando), severamente punito, era frequente perché lo Stato di Milano era circondato da territori dove i grani non erano troppo abbondanti come la Svizzera, il Genovesato e il Piemonte: la possibilità quindi di vendere a prezzo maggiore induceva molti a cercare di contrabbandare le granaglie all’estero.

[7]La pena capitale (la parola forca figura 68 volte nelle gride generali) era prevista per tutta una serie di reati per molti dei quali oggi sarebbe impensabile: citiamo oltre a quelli contro le persone (omicidio e furto), quelli contro lo Stato (falsificazione di monete), ma anche quelli contro il benessere della comunità (contrabbando, violazione della quarantena) e quelli contro la religione e la morale (sodomia, stregoneria, eresia).

[8]La carestia, per esempio, che si presentò negli anni 1628-29 e poi di nuovo nel 1647, ebbe senza dubbio come causa la scarsità dei raccolti, ma la situazione fu notevolmente aggravata dagli speculatori che facevano incetta di granaglie e dai fornai che, nel tentativo di eludere il calmiere, cuocevano e vendevano pani poco nutrienti per la povera gente (con più crusca e meno farina).

[9]Probabilmente il ritrovamento delle cose occultate veniva fatto operando perquisizioni e violando, perciò, il domicilio delle persone sospettate, che potevano anche essere uccise in caso di opposizione.

[10]La caccia era una regalia e l’unico a poter legiferare in materia era il sovrano o il governatore. Le gride uscivano con normalità annuale. L’ufficio della caccia (composto da un capitano della caccia e da un cancelliere) registrava le licenze concesse dalla cancelleria segreta col sigillo del governatore o firmate dal governatore stesso su richiesta delle parti. Il capitano della caccia era coadiuvato da tre o quattro campari (guardie campestri registrate presso il podestà di Milano o di Vigevano e nell’ufficio delle cacce) per ogni provincia, nominati da lui, che insieme ai consoli collaboravano alla ricerca dei contravventori. Tali persone erano denunciate ai consoli, ai podestà o ai giudici ordinari delle giurisdizioni dove era avvenuta la contravvenzione. Comunque i capitani delle cacce spesso concedevano licenze (potevano farlo per la caccia agli uccelli fuori dai luoghi riservati) e tale abuso era severente punito.

[11]Erano gli archibugi chiamati di culatta, dal tiro troppo rapido.

[12]Le reti a sonagliera.

[13]Oltre al ricapito come documento di accompagnamento della merce in viaggio, troviamo documenti analoghi chiamati bolletta, non impediatur, specifica, certificato, licenza, ritorno, biglietto.

[14]Interessante leggere le merci elencate, molte delle quali mostrano generi ormai desueti e i cui nomi esistono ancora o sono quasi o del tutto scomparsi dall’uso corrente e che soprattutto rivelano una società senza dubbio diversa da quella odierna: sono elencati i drappi d’oro, ma c’è anche la biancheria frusta! Ne elenchiamo alcune. Vediamo dunque nell’ambito delle stoffe e dell’abbigliamento le parole lana, lino, linosa, fili, tela, fustagni, bombasine, bernuzzi, mezzelane, mocojate, grograni, robe di pattaria e biancheria anche frusta, vesti, canevazzi, drappi di seta, d’oro e d’argento, di lana, di filosello, panni, calamandre, saglie, camelotti, baracani e i nomi delle telerie (mussoline, batizze, indiane, galoni), pizzi d’oro e d’argento, corj, bulgari, calzetterie, cappelli. E inoltre nell’ambito della seta seme di vermi da seta, gallette; e poi vetri rotti, sapone; nell’ambito della concia delle pelli, gualdo, valonie o valarie. Nell’ambito dei cibi, formento, riso, risone, formaggi invernenghi e magenghi, butirro, mascarpa, grassine, frue, oglio di noce, oglio di linosa, agli, cipolle, salumi, zuccaro, speziaria, vini.

[15]I cosiddetti Pozzolaschi e Alessandrini costituivano gruppi di malviventi, che giravano usualmente armati, originari di Pozzolo Formigaro, Castellazzo e Castel Fè e di altre terre circostanti il territorio di Alessandria (che faceva parte del regno di Sardegna). Cfr. G. SOLAVAGGIONE, Brigantaggio e contrabbando nella campagna lombarda del Settecento, in Nuova rivista storica, 1970, fasc. 3-4 (agosto), pp. 374-419.

[16]Comunque la preoccupazione circa la salute degli abitanti dipendeva dalla non chiarezza circa il rapporto di causalità tra le febbri di tipo malarico e le zone paludose: si temeva la vicinanza dell’acqua stagnante attribuendo ad una sorte di corruzione dell’aria il manifestarsi delle malattie. Solo nell’ultimo ventennio del ‘700, con l’estendersi delle coltivazioni, cominciarono a nascere dispute tra agronomi e medici per stabilire la loro reale pericolosità e ci sono le prime verifiche statistiche per valutare se una effettiva mortalità superiore si sarebbe verificata nelle zone coltivate a riso piuttosto che nelle altre. Le indagini demografiche non portarono a risultati univoci e ci fu perfino chi sostenne che le risaie depuravano l’aria e che era la lunga permanenza in acqua del lavoratore che causava il suo ammalarsi. Bisognerà arrivare alla fine dell’800 per scoprire il rapporto anofele-infezione, anche se già nel XVII secolo si era scoperta l’azione terapeutica della corteccia di china.

[17]Ricordiamo che fino dal XVI secolo in Lombardia cominciò a diffondersi la coltivazione del riso, dapprima utilizzando le zone peggiori già irrigue e non coltivabili a grano, poi estendendo la coltivazione anche ai campi migliori e arrivando fino alle mura delle città. Anche se qui nella raccolta abbiamo solo un bando, gli editti che non erano molto frequenti durante il corso del XVI e XVII secolo, si intensificano nel XVIII, soprattutto nell’ultimo ventennio. I proprietari dei campi cercavano di estendere le colture anche nelle zone proibite, abbattendo perfino gli steli di pietra che segnavano i confini.

[18]L’amministrazione cit., pp. 266-267.

[19]Il padrone dei terreni non forniva nessun alloggio per i suoi lavoranti occasionali, che si trovavano senza nessun posto dove fermarsi la notte se non malsane capanne di frasche vicino ai terreni paludosi. Il tribunale della sanità si era più volte occupato degli alloggiamenti dei lavoratori cittadini (battilana etc.) ma non abbiamo trovato nessuna disposizione per i lavoratori agricoli.

[20]Per una più particolareggiata descrizione della magistratura e dei suoi compiti vedi l’Introduzione al CD-Rom Gride dei Conservatori della Sanità dello Stato di Milano di F. GIOVANNELLI ONIDA e E. MARINAI, cit.

[21]Questa regola fino a qualche anno fa era in vigore anche da noi!

[22]Le gride erano sugli scrocchi, pitocchi, mendicanti e vagabondi forastieri.

[23]Citiamo di nuovo A. Visconti, Sul fondamento giuridico delle "gride" dei governatori spagnoli in Lombardia (estratto dalla Miscellanea di studi in onore di E. Verga), Milano, 1931.


Firenze, 30 settembre 2008

Gride milanesi


Via dei Barucci 20 - 50127 Firenze
Ph. +39 055 4399674; fax +39 055 4399605
e-mail: elisabetta.marinai@ittig.cnr.it